Terminal di Alyeska, Valdez, Alaska

Mercer era talmente abituato a viaggiare che aveva sviluppato una specie di immunità al jet lag. All’arrivo era in grado di costringersi a rimanere sveglio o ad addormentarsi immediatamente, a seconda del numero di ore di fuso. In un giorno soltanto era già perfettamente acclimatato sia che avesse dormito tredici ore sia che ne avesse dormite tre. Tuttavia, il volo in Alaska via Chicago e Seattle-Tacoma era stato interrotto sia dalle cattive condizioni meteorologiche che da un guasto meccanico, che lo aveva costretto a passare una notte a Midway, in albergo. Finalmente atterrò ad Anchorage poco dopo le dieci del mattino, sveglio e pieno di energie.

Affittò un Blazer a quattro ruote motrici e guidò per quasi cinquecento chilometri verso sud fino a Valdez, fermandosi solo per fare il pieno, per un caffè e per qualche corroborante tappa biologica obbligata, all’aperto. Arrivò in città poco prima delle quattro e decise di andare subito al terminal anziché registrarsi all’hotel.

Si avvicinò alla guardiola dell’ingresso dell’enorme agglomerato e fu molto sollevato nello scoprire che il suo nome era ancora nell’elenco dei visitatori esterni da quando lui e Howard Small avevano usato il terminal come base per i loro test sulla mini-talpa. Mercer entrò con l’auto e girò attorno all’East Manifold Building che monitorava il flusso di ottantottomila barili all’ora di greggio nelle condotte e superò gli enormi serbatoi per il trattamento dell’acqua di mare contaminata che serviva da zavorra per le petroliere che arrivavano al terminal.

Si infilò nel parcheggio indicato come ‘solo per veicoli autorizzati’ davanti al centro operativo di controllo, subito dietro l’attracco di carico numero quattro, dove una petroliera di medie dimensioni si stava riempiendo la pancia con il greggio di North Slope. Una volta uscito dal bozzolo protettivo del veicolo, il freddo polare lo investì in pieno, con il vento del Sound che sembrava fatto di spilli appuntiti. La neve aveva ricoperto il terminal, ma era stata tutta ammonticchiata nei parcheggi e all’interno delle curve strette della fitta rete di strade che collegavano le diverse aree. Dire che quell’inverno era insolitamente freddo era come dire che Caino e Abele avevano avuto un banale diverbio familiare.

Mercer passò rapidamente dal blazer al centro operativo aprendo la cerniera del giaccone appena sentì l’ondata di calore del riscaldamento all’interno dell’edificio. La centralinista stava leggendo un romanzo giallo e dalla rabbia con cui guardò Mercer si capiva che era arrivata al momento cruciale. “Cosa posso fare per lei?”

“Ho chiamato poco fa, mi chiamo Philip Mercer.”

“Ah, sì, deve vedere Andy Lindstrom.” Si alzò dalla sedia, le cui gambe di ferro raschiarono il pavimento con un rumore sgradevole sotto la sua mole considerevole. “Da questa parte, prego. Lei è un po’ in anticipo, ma sono sicura che non sarà un problema.”

Mercer entrò nell’ufficio di Lindstrom, il responsabile operativo del terminal, e lo trovò seduto dietro la scrivania. Indossava un paio di jeans, una camicia di cotone pesante e un cappellino da baseball. Era di statura e corporatura medie. Non aveva ancora cinquant’anni, ma la pelle segnata da vent’anni trascorsi in Alaska e da due pacchetti di sigarette al giorno lo facevano sembrare molto più vecchio. Aveva le guance ricoperte da una barba di due giorni, ispida e rossiccia, e i suoi occhi azzurri erano più stanchi di quando si erano visti l’ultima volta.

L’ufficio era piccolo e istituzionale, illuminato da un’unica finestra e da una fila di neon appesi al soffitto. La scrivania di Lindstrom era coperta di fogli impilati a casaccio che formavano mucchi sbilenchi pronti a crollare da un momento all’altro. L’armadio e l’archivio appoggiati alla parete erano anch’essi sepolti sotto la carta: spessi manuali tecnici e cataloghi di pezzi di ricambio. Gli unici mobili non coperti di fogli erano le due sedie di legno davanti alla scrivania. Su una parete era appesa una carta topografica dell’Alaska crudelmente sezionata da una linea rossa che rappresentava la condotta. Sulla parete opposta c’era un manifesto sgargiante e pacchiano che pubblicizzava una spiaggia piena di ragazze in bikini.

Lindstrom accolse Mercer alzando un dito e poi puntandolo verso il telefono che teneva nell’altra mano. Il contenuto della conversazione doveva farlo arrabbiare molto perché era paonazzo.

“Un momento, accidenti. Ho spedito l’armatura al deposito di Fairbanks due giorni fa. Se non l’hai ancora ricevuta è a loro che devi rompere i coglioni, non a me.” Fece una pausa e roteò gli occhi esasperato, guardando Mercer. “Stammi a sentire. Non sono il tuo capro espiatorio del cazzo. È un problema vostro. Io ho solo cercato di farvi un favore, non pensare di chiamarmi tutte le volte che una delle tue macchine ha qualche problema. E la prossima volta magari comprati della roba americana.”

Buttò giù il telefono e tirò un sospiro di sollievo.

“Fammi indovinare” disse Mercer mentre Lindstrom si accendeva una sigaretta. “Una delle compagnie petrolifere che sono al Rifugio.”

“Esatto. Alyeska ha promesso che avrebbe dato loro una mano, e il risultato è che chiamano me anche quando hanno finito la carta igienica. Cristo, quando abbiamo cominciato a sviluppare questo stato era tutt’un’altra cosa. Avevamo uomini che sapevano lavorare sul serio.

“Mi ha un po’ sorpreso la tua telefonata di ieri,” disse Andy mentre si stringevano la mano. Pensavo che dopo aver concluso quei test con Howard Small avessi lasciato l’Alaska. E sono maledettamente curioso di sapere perché diamine hai chiesto che il nostro capo della sicurezza, Mike Collins, fosse presente a questo incontro. Sarà qui a minuti. Ti dispiace dirmi cosa ci fai ancora qui?”

“Preferisco aspettare che arrivi anche Collins. È una storia piuttosto complicata, e vorrei raccontarla una volta sola.”

“Ho ragione se dico che ha a che fare con quel progetto di test sulla collina?”

“Indirettamente. Hai saputo di Howard Small?”

“No, cos’è successo?”

“Temo che sia morto. Assassinato. E chiunque l’abbia ucciso ha tentato per ben due volte di uccidere anche me.”

“Gesù. Tutto per colpa di quella macchine per la perforazione?”

Prima che Mercer avesse il tempo di rispondere sentirono bussare alla porta, e Mike Collins entrò in ufficio senza aspettare la risposta. Era un marcantonio di oltre cento chili e sufficientemente vecchio da far pensare a Mercer che la cicatrice che gli attraversava tutto il lato destro del volto era un ricordo indelebile della guerra del Vietnam. Come Lindstrom, indossava abiti informali: jeans, camicia di flanella e un paio di enormi stivali da cowboy numero quarantasei.

Dato che non si erano mai incrociati durante il precedente soggiorno di Mercer a Valdez, Lindstrom li presentò. La stretta di Collins era energica e salda, e le sue mani erano callose quasi quanto quelle di Mercer. Il Responsabile Operativo informò Collins della morte di Howard Small e dei due attentati alla vita di Mercer.

“E insomma è tutta colpa di Minnie?” chiese di nuovo Lindstrom.

“No, non c’entra niente. Dopo che abbiamo completato i test, Howard e io siamo andati a pescare a Homer con suo cugino. Mentre eravamo fuori abbiamo trovato il relitto bruciato di una barca da pesca alla deriva a quaranta miglia dalla costa. Quello che abbiamo scoperto a bordo lo ha ucciso.”

“E cos’era?” chiese Collins, con un tono da poliziotto che non vuol saperne di andare in pensione.

“Ci è voluta tutta la buona volontà dei tecnici del laboratorio dell’FBI a Washington per capire che un pezzo di metallo che avevo trovato a bordo è un frammento di una bombola di azoto liquido. L’ipotesi che ci sembra più probabile è che la barca stesse trafugando bombole di quella roba per portarle in Alaska.”

“E perché uno dovrebbe farlo di nascosto quando è possibile acquistare normalmente l’azoto liquido, e arrivare addirittura a uccidere per tenere nascosto il traffico?”

“Di questo se ne stanno occupando i federali” rispose Mercer, “ma quello che mi preoccupa è cosa vogliono farci.”

“Pensi che potrebbe aver a che fare con noi?” chiese Collins.

Prima che Mercer rispondesse Lindstrom chiese: “Di che quantità stiamo parlando?”

“Prima che lasciassi Washington ho chiamato il capitano del porto di Seward, dove la barca era registrata, e mi ha detto che risultano diciotto uscite nell’ultimo anno, ma nessuna delle fabbriche che lavorano il pesce ha comprato pesce proveniente dalla Jenny IV. Mi ha detto anche che il capitano della Jenny IV aveva pagato in contanti per un altro viaggio, quindi significa che in qualche modo stava guadagnando dei soldi. I numeri sono questi: ha fatto diciotto viaggi con una capacità di tredici tonnellate, fatti due conti. È una quantità mostruosa di azoto liquido.”

“Continuo a non capire. Non è una droga, non è esplosivo e non è neanche illegale. Che razza di storia è?”

“L’unica cosa che mi sembra avere un senso, e credo che Dick Henna dell’FBI sia dello stesso avviso, è un sabotaggio” continuò Mercer mentre i due uomini rimanevano interdetti. “L’azoto liquido può alterare la struttura molecolare dei materiali su cui viene versato. Indebolisce l’acciaio al punto che le strutture si spezzano sotto il loro stesso peso, senza nessuna traccia di manomissione. Immagina che qualcuno lo spruzzi su un’attrezzatura, quando poi questa viene usata, si spezza senza un motivo logico e senza che si riesca a individuare la causa. Voi qui siete sotto l’occhio dei mezzi di comunicazione sin da quando è stata avviata la costruzione della nuova condotta di North Slope, quindi ritengo che siate l’obiettivo ideale di questo tipo di azioni terroristiche.”

Mercer capì di essere riuscito a catturare l’attenzione di Andy Lindstrom. Ma ci voleva ben altro per convincere uno che apparteneva alla terza generazione di gente che lavorava nel settore petrolifero. Istintivamente, Mercer rimase in silenzio lasciando che Lindstrom riflettesse sul suo ragionamento, nascondendo a fatica la sua impazienza. Aveva appena scaricato una bomba sulla scrivania di un responsabile operativo che non sapeva che Mercer non era certo il tipo paranoico che si abbandona a fantasie contorte e complotti immaginari. Forza, pensava, dai, lo sai che questa è una minaccia più che plausibile.

“La condotta sarebbe un obiettivo perfetto, ma non funzionerebbe” disse Lindstrom alla fine, tirando fuori una bottiglia di bourbon e versandone un po’ in tre bicchierini. “Le pareti della condotta sono in acciaio ad alta resistenza, di quasi due centimetri di spessore, con un carico massimo di pressione interna pari a milleduecento psi. Anche se qualcuno ne congelasse una sezione, ci vorrebbe comunque un bulldozer per spaccarla e le nostre squadre di intervento arriverebbero molto prima che i sabotatori riuscissero ad andarsene.”

“E cosa mi dici dei VSM, gli elementi verticali di supporto?” rilanciò Mercer, sapendo che doveva agire in fretta, altrimenti i suoi avvertimenti non sarebbero serviti a niente.

Le sezioni fuori terra della condotta erano tenute al di sopra della superficie gelida della tundra da circa settantotto mila VSM, o elementi verticali di supporto. Le torri erano a una distanza di una ventina di metri una dall’altra ed erano progettate per consentire alla condotta di spostarsi di circa 3 metri in orizzontale e mezzo metro in verticale, per compensare le dilatazioni termiche e le contrazioni della camicia che la rivestiva. I VSM servivano anche per assorbire l’urto di eventuali terremoti come quello che devastò l’Alaska il Venerdì Santo del 1964. Le basi dei montanti erano interrate a una profondità che variava da cinque a quindici metri, a seconda della profondità del permafrost. Usavano un sistema di raffreddamento passivo ad ammoniaca per evitare che il calore trasmesso dal flusso del petrolio sciogliesse il terreno ghiacciato che manteneva stabile la condotta.

“È la stessa cosa. Anche se si indebolissero i supporti con l’azoto liquido sarebbe comunque necessario usare macchinari pesanti per spezzarli. Ti ricordo che ci sono voluti 1347 permessi statali e federali per costruire questa linea, e puoi scommettere dieci a uno che si sono tutti parati le chiappe e l’hanno fatta talmente robusta che neanche il Padreterno riuscirebbe a spezzarla.”

“Avevano detto la stessa cosa del Titanic.” Mercer lasciò cadere quella frase e aspettò un minuto prima di aggiungere “E i ponti? Non ce n’è uno che è lungo più di trecento metri?”

“Nel punto in cui la condotta attraversa il fiume Tanana c’è un ponte sospeso di trecentosessanta metri, ma anche in quel caso, anche se si indebolissero gli ancoraggi e i supporti dei cassoni, ci vorrebbe della dinamite per tirarlo giù. Perché preoccuparsi di congelare l’acciaio se poi si devono usare anche gli esplosivi?”

“Mi risulta che dovete immettere delle sostanze chimiche nel petrolio per aumentarne la temperatura e farlo scorrere meglio nel suo viaggio fino a Prudhoe. Cosa succede se si congela il petrolio dentro i tubi formando così un tappo solido? Che tipo di danno potrebbe causare questa eventualità?”

“Se il petrolio gela l’aumento di volume non sarebbe comunque sufficiente a spaccare la camicia, e nel giro di qualche mese la condotta verrebbe ripulita” ribatté Lindstrom. Mercer si rese conto che Lindstrom era deciso a smontare la sua idea. “E in più, ti dimentichi che in Alaska ci sono altri obiettivi strategici come la base aerea di Elmendorf, o il sistema di stazioni di rilevamento radar lungo la costa settentrionale, per non parlare degli impianti produttivi all’interno del Rifugio. Ce ne sono un paio che sono già in funzione e stanno pompando greggio nella Baia di Prudhoe per trasferirlo nella Tapline.” Lindstrom si accese un’altra sigaretta, e in quell’istante gli venne un pensiero improvviso. “L’unico punto di Alyeska che potrebbe rappresentare un obiettivo è il deposito delle attrezzature di Fairbanks, dove abbiamo mezzo miliardo di dollari in colonne di perforazione, testate rotanti e altre attrezzature.”

“Spruzzano l’azoto su un fascio di batterie di tubo usate per penetrare nel suolo e poi le spaccano con una martellata.” Collins non aveva colto il sarcasmo nella voce di Lindstrom e stava considerando seriamente quella possibilità. “Il tubo non si romperebbe, è troppo robusto, ma si formerebbero innumerevoli cricche microscopiche. Quando le turbine cominciano a girare, aumentando la rotazione la stringa di perforazione si spacca e il pozzo viene contaminato per sempre.”

“E qual è il livello di sicurezza del deposito?” Se Mercer fosse riuscito a convincere almeno uno dei due uomini della fondatezza dei suoi timori, sarebbe stato già un buon passo avanti.

“I materiali più costosi, come le frese al diamante, sono sotto chiave e sorvegliati ventiquattro ore al giorno” rispose Collins, ma le colonne sono ammucchiate qua e là in attesa di essere trasportate a North Slope. Collins si strofinò la testa calva con una mano, e il suo anello d’oro, ricordo del servizio nei Marine, brillò colpito dall’ultimo raggio di sole che entrava dalla finestra.

“Vi suggerisco di rinforzare le difese” disse educatamente Mercer.

“Non vedo alcun pericolo” ribadì Lindstrom, per niente preoccupato. “Se hanno trasportato più di duecentotrenta tonnellate di azoto liquido significa che hanno in mente qualcosa di ben più importante che un mucchio di pezzi di ricambio ammucchiati in un magazzino.”

“Qual è la tua versione?” Mercer cercò di riacchiappare l’attenzione di Lindstrom, sperando che il responsabile operativo prendesse più sul serio le sue preoccupazioni.

“Qui al terminal siamo al sicuro, e la Prudhoe Bay è talmente isolata da non costituire un obiettivo logico.”

“E quindi?”

“E quindi niente. La condotta è troppo resistente per quello che hai ipotizzato tu. Può darsi che Alyeska sia un bersaglio interessante per il terrorismo, e non escludo che da qui a quando finirà la crisi sulla violazione del Rifugio possa succedere qualcosa, ma usare l’azoto liquido non ha senso.”

Mercer si voltò verso Collins, sperando di riuscire a tenere vivo il suo interesse. “Perché dici che il terminal è sicuro? Io sono entrato senza problemi.”

“Sei ancora sulla lista dei visitatori, chi non compare viene allontanato. Abbiamo persino sospeso le visite dei bus turistici che vengono dalla città. A parte la strada di accesso principale, non ci sono altre vie per entrare nel terminal. Recinzioni, rilevatori attivi e passivi e pattugliamenti tengono tutti a distanza di un miglio da tutte le aree sensibili.”

“Mercer, oltre a concentrarti sul motivo per cui qualcuno sta portando di nascosto dell’azoto liquido in Alaska, ti sei soffermato a chiederti chi?” Sebbene fosse evidente che Lindstrom non credeva a una minaccia rivolta al suo territorio privato, accoglieva l’ipotesi dell’attacco terroristico.

“Lo so già” disse Mercer serio.

“La PEAL?” chiese Collins.

“No. Anche se questo tipo di operazione potrebbe essere nel loro stile, è fuori della loro portata.”

“La PEAL?” Lindstrom non ricollegò subito il nome. “Un momento… sono gli ambientalisti della nave da ricerca che è all’ancora in mezzo alla baia?”

“Già” disse Collins. “Sono qui da un paio di settimane, boicottano le stazioni di servizio della Petromax, concedono interviste all’esercito di giornalisti che li segue ovunque vadano e rendono tutti maledettamente nervosi.”

“Non c’entrano niente con questa storia” ripeté Mercer. “Vogliono fermare le perforazioni nel Rifugio Artico, ma questa è una faccenda troppo grossa per loro. Boicottare le pompe della benzina è una cosa, ma progettare un attacco terroristico contro il terminal di Alyeska è un altro paio di maniche. Sentite, ragazzi, io non sono qui in veste ufficiale. L’indagine è condotta dai federali. A dire il vero, sono venuto in Alaska disobbedendo agli ordini del direttore dell’FBI. Ma mentre girano a caccia di indizi ho paura che si dimentichino dei bersagli. Mi sorprende che non sia venuto nessuno di loro a parlare con voi. Questo è il vantaggio di avere un sacco di laureati e troppo pochi cervelli.”

“Da come parli si direbbe che sai chi è che sta trafficando con l’azoto liquido. Di chi si tratta?” chiese Collins.

“Un ex colonnello del KGB di nome Ivan Kerikov che ho già incontrato in passato. È assolutamente spietato. Uccide senza esitazione. Cazzo… me ne stavo dimenticando. Posso usare il tuo telefono?”

Lindstrom annuì e Mercer fece subito un numero, uno dei cento e più numeri di telefono che si ricordava a memoria.

“Polizia di Homer, qui ispettore Capo Mac Laughlin.”

“Ispettore, sono Mercer…”

Mac Laughlin lo interruppe bruscamente. “Come cazzo facevi a sapere che la Jenny IV non c’era più?”

“Un’intuizione.”

“Stronzate!” sbottò Mac Laughlin. “Nessuno può avere intuizioni del genere. Ho rettificato i rapporti sulla morte di Jerry e John Small registrandole come omicidi. Aggiungi la morte di Dave Heller, l’uomo che abbiamo trovato nella barca arenata, e sono tre omicidi irrisolti in una città nella quale, da che sono diventato sceriffo, non è mai stato ammazzato nessuno. Pretendo delle fottute risposte.”

“Le avrà non appena le avrò io stesso, capo. Mi dispiace, ma per adesso non posso dirle altro. Posso solo dirle che è inutile che cerchi gli assassini in città, se ne sono andati da un pezzo.”

“Ma davvero?” disse Mac Laughlin sarcastico. “Anche se sono un poliziotto di campagna non significa che io sia rincoglionito.”

“Non sto dicendo questo, ma credo che sarebbe più utile che le sue indagini si concentrassero a scoprire dove è stata affondata per la seconda volta la Jenny IV.”

“Un ago in un pagliaio. Dopo che mio cognato ha dragato il fondo e ha scoperto che non c’era più, ho mandato fuori quasi tutte le barche presenti nel porto. Quaranta barche, tutte dotate di sonar, che non hanno trovato un accidente. Hanno scandagliato almeno cento miglia quadrate.”

A Mercer sembrava di vederli. Capitani e marinai mezzi ubriachi, esaltati all’idea di giocare a fare i poliziotti. Che gironzolavano a casaccio in mare senza un preciso criterio di ricerca. Mercer immaginò che le cento miglia di Mac Laughlin in realtà fossero dieci, ma dirlo non sarebbe servito a niente. In quel momento Mac Laughlin era così arrabbiato che qualunque osservazione lo avrebbe fatto esplodere come un vulcano. Mercer non poteva rimproverargli niente: si era trovato immischiato in una faccenda più grande di lui e non sapeva da che parte cominciare.

“Veramente?” disse Mercer, fingendosi impressionato, mentre pensava già a chiamare Dick Henna per dirgli di mandare un mezzo antisommergibile in quella zona. Con il sonar a scansione laterale avrebbe potuto individuare il relitto alla prima passata. “I miei complimenti, ispettore. Le farò sapere se scopro qualcos’altro.”

Mercer chiuse la telefonata prima che Mac Laughlin potesse protestare.

“Che storia è?” chiese Collins insospettito.

“Forse qualcosa, o forse un bel niente. Un paio di notti fa, la Jenny IV è stata portata via dal punto in cui la guardia costiera l’aveva affondata. Chiunque sia stato ha anche ucciso il proprietario della barca che ha usato.”

“Pensa che sia stato questo Kerikov?”

“Lui o qualcuno che lavora per lui” disse Mercer, cavalcando la crescente rabbia di Collins. “Come vi ho già detto, non sono autorizzato a stare qui a parlare con voi, ma ci sono in gioco le mie chiappe. Sono l’unico testimone vivente del ritrovamento della Jenny IV e credo che Kerikov non si fermerà fino a che non mi avrà fatto fuori. L’unica possibilità che ho è fermarlo io per primo. Non voglio scavalcare la polizia, ma se succede qualcosa di insolito, qualsiasi cosa, vorrei essere informato.”

“Non succederà niente, ma comunque stai tranquillo, ti terrò aggiornato” rispose Lindstrom indulgente.

Mercer gli diede il nome dell’hotel dove avrebbe alloggiato. Sapeva che con le poche informazioni di cui era in possesso non avrebbe potuto fare di più, e poteva solo sperare che i suoi avvertimenti non venissero ignorati.

Venti minuti dopo stava parcheggiando davanti all’albergo, un grande edificio rivestito di legno che aveva visto giorni migliori. Non era il migliore della città, ma a lui andava bene così. Dopo essersi sistemato e aver fatto una doccia si concesse una cena a base di salmone nel ristorante semi-vuoto. Anche la sala adiacente era quasi deserta, perciò decise di uscire a fare un giretto e magari fare due chiacchiere con qualcuno degli attivisti della PEAL che stavano in città.

Anche se non pensava che la PEAL fosse coinvolta con il traffico di azoto liquido, voleva farsi un’idea più precisa del gruppo, un po’ per la sua indagine personale, e un po’ perché voleva capire meglio Aggie Johnston, dato che la PEAL sembrava giocare un ruolo importante nella sua vita.

Da quando gli era piombata in casa, il pensiero di lei non se n’era mai andato del tutto. All’inizio aveva cercato di scacciarla dalla sua mente, ma poi ci aveva rinunciato. Aggie non era il tipo di donna che Mercer potesse dimenticare. In un tempo brevissimo era penetrata così profondamente nel suo pensiero che riusciva persino a risentire il profumo dei suoi capelli e a ricordare il modo in cui i suoi occhi si erano inteneriti quando aveva visto per la prima volta sul suo volto la benda dopo l’aggressione. Mercer non aveva mai creduto al vecchio adagio secondo cui gli opposti si attraggono, ma quella era la prima volta che capitava a lui. Era ferito e confuso dal fatto che Aggie non lo aveva più cercato. C’erano troppe cose in ballo e non poteva permettersi di lasciarsi distrarre dal suo ricordo, anche se desiderava sapere di più su di lei, molto di più. Tutto.

Camminò lungo North Harbor Drive, costeggiando il porto turistico. Il sole era tramontato e il rumore delle onde che si infrangevano sugli scafi delle cento barche risuonava nel buio come una registrazione inquietante ripetuta all’infinito. I pochi lampioni gettavano sbiadite chiazze di luce sulla banchina e tenui riflessi sulle cromature della barche più vicine. L’aria era satura dell’odore penetrante dell’oceano, e anche se i marciapiedi erano piuttosto affollati per quella cittadina di tremila abitanti, c’era un’atmosfera di solitudine e isolamento tipica dell’Alaska, ad eccezione delle grandi città. Fuori, all’ancora, vide le luci di via di una nave molto grande e capì che si trattava della Hope.

Finalmente trovò un bar che sembrava promettente, con insegne luminose dai colori sgargianti che spiccavano nel buio. Quando una coppietta aprì la porta per entrare, sentì che all’interno stavano suonando della musica country. Salutò con un cenno e li seguì per dare un’occhiata.

Era poco più di una bettola, con la moquette cosparsa di innumerevoli gomme da masticare spiaccicate, dure come il cemento, e le pareti ingiallite dal fumo che appestava l’aria. Attorno al bar a forma di ferro di cavallo c’era posto per una ventina di persone e avvicinandosi vide che il piano del bancone era segnato dalle incisioni di centinaia di iniziali. Come tanti bar, aveva trovato un espediente curioso per attirare i clienti: la sensazione di immortalità che veniva dall’aver inciso le proprie iniziali su quel legno. Nella sala c’erano circa dieci tavoli, una piccola pista da ballo e persino un piccolo palco, anche se la musica in quel momento era quella del jukebox che stava accanto alla porta. Il locale era pieno per metà.

Mercer voleva il suo Vodka Gimlet, ma quello era il classico locale in cui si bevevano solo birra o whisky liscio. Ordinò una birra alla barista indaffarata e si piazzò su uno sgabello in un angolo, di fianco a un tipo che aveva l’aria di essere un pescatore, a giudicare dalla stazza e dagli stivali di gomma che indossava. La donna dietro il bancone si sporse in avanti per porgergli la sua Coors e gli regalò una magnifica visione di quello che nascondeva sotto la maglia scollata. Le sorrise, in segno di ringraziamento per la birra e per lo spettacolo. Come i bar, anche le bariste avevano i loro espedienti.

“Sei dei nostri o dei loro?” gli chiese l’uomo alla sua sinistra senza preamboli.

“Dipende da chi siamo noi e chi sono loro.” Non capiva se l’uomo era ubriaco o squilibrato.

“Loro sono gli ecologisti e la schiera di giornalisti che si tirano dietro.” Fece un cenno con la testa indicando un gruppo di tavoli riuniti e appoggiati al muro, con diverse persone che formavano un gruppo evidentemente chiuso. “E noi siamo tutti gli altri.”

“Allora sono uno di noi, puoi scommetterci.” Mercer vide che l’uomo era divertito. “Sono un ingegnere minerario, e tu?”

“Lavoro a bordo di un ERV, una di quelle navi che guidano le petroliere fuori dal Prince William Sound” rispose, e bevve un sorso della sua birra. “Ti giuro che non capisco come facciano questi contestatori a sopravvivere. Chi è che li paga per andare in giro a rompere i coglioni al prossimo?”

“Saresti sorpreso di scoprire quanti fondi ricevono questi gruppi ambientalisti, e in ogni gruppo c’è sempre un membro che è ricco sfondato.”

“La solita storia, il fannullone ricco che si sente in colpa e che fa il possibile perché nessun altro faccia i soldi.”

“Moderna nobiltà d’animo” borbottò Mercer.

Si soffermò qualche minuto a osservare le persone sedute attorno a quei tavoli. Era facile capire quali erano i giornalisti e quali invece erano i membri della PEAL. I giornalisti avevano un’aria cinica, frutto dell’esperienza ostentata, che esibivano come una medaglia. Gli ambientalisti erano in genere giovani imberbi ed entusiasti che sorridevano e ridevano facilmente, sembravano una squadra di calcio dell’università che stesse festeggiando l’ultima vittoria con le ragazze del gruppo. Avevano un’aria innocente e infantile e un senso di appartenenza al gruppo che li legava gli uni agli altri molto più di una normale amicizia. Erano crociati, fratelli d’armi che combattevano una guerra santa.

“Cosa sai di loro?” chiese Mercer al suo vicino che, come molti dei nativi di quei luoghi, era sempre contento di parlare con un forestiero.

“Non molto, a parte il fatto che non vedo l’ora che se ne vadano dalla mia città” ringhiò. “Sono qui da diverse settimane, loro e i giornalisti. Un’orda di rompicoglioni, che ci fanno la predica e ci trattano come dei deficienti.” E aggiunse acido: “E i contestatori sono ancora peggio.”

Il marinaio dell’ERV aveva appena finito di raccontare a Mercer della cisterna che si era rovesciata quando la porta si aprì, facendo entrare una staffilata di aria fredda. Mercer si voltò e vide entrare un gruppo di persone che ridevano tra di loro. C’erano nove uomini e cinque donne, difficili da distinguere se ci si limitava a basarsi sulla lunghezza dei capelli.

Quando la vide, non fu molto sorpreso. Era abbastanza logico che andasse in Alaska. La battaglia principale del suo gruppo veniva combattuta proprio lì, a Valdez, e la loro ammiraglia era ancorata nella baia. Era ovvio che lei volesse prendervi parte. Il bar era il più vicino al punto in cui aveva visto ormeggiati i gommoni della PEAL. Si chiese se il fatto che lui fosse lì era un caso o se in realtà, dentro di sé, non fosse entrato in quel bar sperando di incontrarla. Anche se una parte di lui ci aveva pensato, l’arrivo di Aggie Johnston lo colse impreparato.

Lei non lo vide, perché entrò circondata dai suoi amici, e il suo viso era radioso. Si diressero immediatamente verso i tavoli già occupati dagli altri membri della PEAL e dai giornalisti sicofanti. Era infagottata nello stesso giaccone verde di quando l’aveva vista la prima volta alla George Washington University.

La seguì mentre attraversava la stanza, e sentì le grida di gioiosa accoglienza dei suoi amici. Si capiva che era da un po’ che non la vedevano, e il suo arrivo era la causa di quell’aria di festeggiamento. Indugiò con lo sguardo, e poi si volse di scatto infuriato con se stesso per quel comportamento da ragazzino innamorato che piange sull’avventura estiva appena finita.

“Gesù” sospirò il suo vicino, “che ben di Dio…”

Mercer vide che Aggie si era tolta il giaccone esibendo un dolcevita nero molto attillato. Avrebbe scommesso che al marinaio piacevano di più le tettone appariscenti, ma evidentemente anche lui subiva il fascino di Aggie Johnston.

“Non credo che sia roba da marinai” disse Mercer cupo.

Due birre più tardi Mercer era pronto ad andarsene. Il bar era strapieno e il gruppo musicale stava per fare una pausa. Si riaccese qualche luce e qualcuno dei locali si avvicinò al tavolo della PEAL per invitare le ragazze a ballare, ma tutte rifiutarono corredando la risposta di risatine crudeli. Aggie era quella che aveva attratto i pezzi migliori, e anche se il suo rifiuto era un po’ più educato, era comunque irrevocabile.

Uno degli uomini seduti al tavolo, un gigante barbuto che, a giudicare dal deferente silenzio che suscitò quando si alzò doveva essere una specie di capo, alzò il bicchiere per brindare sulle note dell’ultima canzone della band. “A Brock Holt, un avvelenatore dell’ambiente che ha pagato per le sue azioni.”

Sebbene si stesse rivolgendo ai suoi, mentre parlava guardava la gente intorno, sperando in una qualche reazione. I suoi occhi brillavano per il fervore politico e per le numerose birre. Nessuno di loro sapeva che in quella strada deserta insieme a Jan Voerhoven c’era anche lui. Persino i giornalisti si meravigliarono per quell’uscita totalmente fuori luogo.

Non dovette attendere a lungo la sua risposta. Da in fondo al bar, a una decina di sgabelli da Mercer, si sentì una voce alterata dall’alcool: “Cos’hai detto, stronzo?”

“Non stavo parlando con te” rispose minaccioso l’ambientalista.

L’aria si fece tesa. La barista era già pronta a prendere il telefono per chiamare la polizia. Se le cose si mettevano male, i tre buttafuori del locale di certo non sarebbero bastati.

“Brock era un mio amico.” L’uomo era ubriaco e aveva la bocca impastata, ma il suo sentimento era limpido come l’acqua. Indossava una giacca a vento blu con il logo della Petromax sul petto, a sinistra.

“E allora dovresti essere contento quanto lo siamo noi che ha smesso di trasportare veleno in giro per il paese.” La risposta era piena di sarcasmo e di disprezzo. Aggie cercò di far sedere il suo amico, ma lui si liberò dalla sua mano, troppo sballato per rendersi conto di dov’era e di cosa stava dicendo.

Gli avversari cominciarono ad andare gli uni verso gli altri e le sedie furono spostate mentre la sala si divideva in due schieramenti. Era una battaglia che stava covando sin da quando gli attivisti della PEAL erano arrivati a Valdez, e dopo qualche altro insulto infuocato scoppiò un finimondo in cui ognuno degli schieramenti era convinto di essere nel giusto. Gli ecologisti convinti di stare lottando per la salvezza del mondo, i locali invece decisi a proteggere la loro sopravvivenza e le loro famiglie. I giornalisti si erano ritirati dietro i tavoli e osservavano la mischia con interesse diabolico.

Fu subito chiaro che solo una trentina degli uomini del posto era disposto a farsi coinvolgere, mentre il resto della gente guadagnò la porta appena poté. Quasi tutti i venticinque ambientalisti erano pronti allo scontro, e tra loro c’erano anche diverse donne. Sulle prime Mercer pensò di andarsene insieme al resto della gente, ma mentre si avvicinava alla porta decise che non avrebbe lasciato lì Aggie fino a che non fosse stato sicuro che era in salvo. Si voltò e si fece largo attraverso la folla terrorizzata per tornare verso il bar.

Una volta raggiunta la sala, sentì Aggie gridare in mezzo alle altre urla e al rumore dei mobili che venivano sfasciati. Era bloccata contro il muro in fondo al bar, piegata all’indietro contro uno degli altoparlanti, con le luci rosse del palco che le illuminavano il viso pallido e sofferente. Un uomo dalla carnagione scura che indossava un giubbotto di pelle nera le teneva le mani sopra la testa, con la pelle che luccicava per il sudore dell’eccitazione. Per raggiungerli, Mercer dovette schivare una decina di scazzottate, tirando pugni e calci senza preoccuparsi di chi c’era a riceverli.

Un pugno lo colpì allo stomaco, e poi gliene arrivò un altro in faccia. Rotolò a terra cercando di riprendersi in fretta dalla violenza di quei colpi. Un militante della PEAL lo raggiunse con la mani basse e pronto a colpire. Mercer lo lasciò avvicinarsi, prendendogli le misure con occhio esperto. Appena il suo avversario caricò per sferrargli un pugno circolare, Mercer arretrò quel tanto che bastava a far arrivare il pugno a qualche centimetro dal suo mento. Afferrò il braccio teso dell’uomo, lo bloccò e gli tirò una raffica di pugni nel fianco scoperto, colpendo violentemente i robusti muscoli sotto il braccio. Sentì il raccapricciante rumore di un paio di costole che si spezzavano.

Mercer scavalcò con un balzo il militante che stava cadendo e puntò dritto all’uomo che stava bloccando Aggie. L’assalitore aveva liberato una mano e la stava frugando in mezzo alle cosce, con le spalle incurvate per proteggersi dai suoi inutili tentativi di difendersi. Mercer schivò due uomini che si stavano picchiando e che gli intralciavano la strada e raggiunse Aggie dopo solo sessanta secondi da quando era scoppiata la rissa.

Se l’attacco non si fosse trasformato in violenza sessuale, forse le avrebbe lasciato assaporare le conseguenze delle sue azioni. Stava giocando con la vita delle persone come se fosse un passatempo, ignara della posta in gioco per tutti gli uomini e le donne di Valdez. Proteste di quel genere erano fatte esclusivamente a scopo mediatico. La PEAL non era in Alaska per far crescere la consapevolezza ambientalista, ma per far sapere al mondo della sua esistenza. Il loro interesse per la città di Valdez sarebbe durato solo fino a quando fossero riusciti a mantenere alto l’interesse dei mezzi di comunicazione, poi sarebbero passati ad altro. Ma l’uomo che teneva stretta Aggie aveva commesso l’errore di cercare in lei la soddisfazione ai suoi desideri più perversi.

Mentre afferrava una bottiglia mezza vuota da uno dei tavoli, Mercer pensò che avrebbe sperato che Aggie venisse aggredita da un uomo meno affettuoso. Voleva partecipare alla rivoluzione verde, e questa era la realtà dei fatti. Distruggere quello che c’è e solo successivamente preoccuparsi delle conseguenze. Con un violento colpo verso il basso, la bottiglia si fracassò sulla testa dell’uomo che crollò a terra prima che i frammenti di vetro atterrassero sulla moquette.

La caduta dell’uomo fece perdere l’equilibrio a Aggie, che scivolò giù dall’altoparlante ritrovandosi in piedi. Quando riconobbe Mercer in piedi davanti a lei, i suoi occhi si spalancarono raggiungendo una dimensione impossibile.

“E adesso dimmi cosa ci fa una ragazza carina come te… Non importa. Andiamocene.” Mercer l’afferrò per il polso e la portò fuori da una porta sul retro proprio nel momento in cui la polizia irrompeva nel bar. Mentre scappavano, Mercer notò che quasi tutti gli attivisti della PEAL stavano ancora combattendo e che il pavimento era coperto da una nutrita e stordita rappresentanza della più indomita cittadinanza di Valdez.

Il vicolo dietro il bar era poco illuminato e il cassone dei rifiuti accanto all’uscita era stracolmo. Aggie cercò di fermarsi, ma Mercer voleva allontanarsi il più possibile dal bar. Non voleva passare la notte nella cella degli ubriaconi con un nugolo di figuri incazzerecci che consideravano la discussione tutt’altro che conclusa. La trascinò in una strada illuminata a un isolato dal bar, verso l’interno della città.

Quando furono nel cono protettivo della luce di un lampione, lei si fermò e strappò il braccio alla presa di Mercer. “Che cazzo ci fai qui?”

“Ben arrivata.”

“Rispondimi, per Dio.”

“Hey, ero al posto giusto al momento giusto. Se vuoi tornare là, fai pure. Sono sicuro che quel tipo non vede l’ora di riprovarci, con te” disse Mercer con più rabbia di quanta ne provasse realmente.

“Vaffanculo.”

“Ciao, Aggie.” Si allontanò ma dopo qualche passo provò un grande sollievo sentendola correre e afferrargli la manica.

“Mi dispiace. Non me ne importa niente del motivo per cui sei qui stasera, e ti sono grata.” Lo guardò, e i suoi occhi erano due gemme lucenti.

Voleva baciarla, più di qualsiasi altra cosa voleva catturare la sua bocca. Invece si voltò e continuò a camminare. Odiava essere così confuso e la sua reazione naturale a quella sensazione era andarsene, come se allontanandosi da lei potesse alleviare la sua inquietudine.

“Mercer, aspetta!” Lo raggiunse di nuovo e si mise a camminargli accanto a grandi passi, tenendo il ritmo del suo passo rabbioso. Senza dire una parola lui si tolse la giacca e gliela mise sulle spalle. Lei ci si infilò come se fosse stata la sua coperta preferita e dopo un istante di silenzio disse: “Dobbiamo parlare”.

“Non credo.”

“L’uomo che è entrato in casa tua. Lo conoscevo.”

“Lo so” rispose Mercer senza enfasi, sollevato che lei non avesse toccato l’altra faccenda che lo stava tormentando. “Non ho mai visto nessuno reagire alla morte in quel modo. La tua espressione non era né di disgusto né di paura: lo avevi riconosciuto.”

Si aspettava quella rivelazione, ma la successiva lo lasciò di stucco. “Lavorava per mio padre.”

“Cosa?” Mercer si fermò di colpo, voltandola in modo da averla di fronte.

“Sì, tempo addietro. Ho parlato con mio padre ieri e lui mi ha detto che Burt Manning non lavorava più per lui da un paio di mesi.”

“E tu gli hai creduto?”

“Sì. No. Forse. Non lo so.”

“Aggie, stiamo parlando della vita delle persone, e in particolare della mia.”

“Quando ho parlato con mio padre, è venuto fuori che lui sapeva a che ora ero venuta a casa tua e l’unico modo che aveva per saperlo era che Manning glielo avesse detto prima di irrompere in casa tua per cercare di ammazzarti. Probabilmente stava lavorando per lui.” Aggie rimase in silenzio per un po’ ed era sul punto di piangere. “Non ci posso credere. Mio padre è un mostro, ma non arriverebbe mai a far uccidere qualcuno, soprattutto te. Siete amici. Dopo che ho parlato con lui ero così spaventata che non sapevo cosa pensare e allora sono venuta qui con un paio di giorni di anticipo.

“Aggie, fatti un regalo e vattene dall’Alaska. Non sei al sicuro qui.”

“Sono più al sicuro qui che a Washington.” Ripresero a camminare.

“Manning non stava cercando te, stava cercando me, e le sue motivazioni non hanno niente a che fare con tuo padre. Vai a casa.”

“Ma cosa c’entra l’Alaska con tutta questa storia?”

“C’entra più di quanto tu creda, ma adesso non ho tempo di spiegarti.” Mercer aveva bloccato la parte emotiva del suo cervello e quando parlò non c’era traccia dell’amarezza che si era aspettato. “Tu e i tuoi amici della PEAL dovreste fare i bagagli e andare da un’altra parte.”

“Nessuno di noi partirà da qui prima che il nostro lavoro sia concluso.” Il suo tono era definitivo.

“Senti, tu e i tuoi amici volete incatenarvi agli alberi e fare cortei in strada, e va bene, ma qui stanno morendo delle persone e temo che non sia affatto finita. Non capisci? Stai per essere coinvolta in qualcosa di molto più pericoloso di quella rissa da osteria. Non pensi che la tua vita valga di più di un po’ di casino per proteggere l’ambiente? Ascoltami, Aggie: tuo padre non c’entrava niente con l’attacco a casa mia. È stato organizzato da un ex agente del KGB chiamato Ivan Kerikov che ora si trova in Alaska e che ha già ucciso quattro persone di cui tre erano miei amici.”

“Ma mio padre sapeva l’ora in cui sono arrivata a casa tua” insistette Aggie.

Tornarono verso il porto, dove un gruppo di attivisti della PEAL si era radunato attorno a due grandi gommoni. Dalle risate si intuiva che solo alcuni di loro erano stati arrestati, e nessuno sembrava aver avuto la peggio. Mercer immaginò che quella clemenza fosse dovuta alla presenza dei giornalisti. Gli si confermò l’idea che quei ragazzi fossero un branco di liceali usciti a divertirsi. Si fermò, mentre lui e Aggie erano ancora nell’ombra di un edificio, e guardò gli attivisti con occhio più critico. Avevano un’aria troppo rilassata, e quel dettaglio prese a ronzargli in un angolino della mente.

“Bene, ecco i tuoi amici. So che non ascolterai il mio consiglio perché sei troppo cocciuta, ma voglio che tu stia attenta, d’accordo?”

“Mercer, io…”

“Stai attenta e basta.” Si voltò e svanì nella notte così in fretta che la sua assenza la lasciò interdetta.

Un attimo dopo Aggie aveva raggiunto i suoi amici e rideva ai racconti delle loro prodezze durante la rissa, subito prima di salire a bordo dei gommoni per il breve viaggio fino alla Hope. Continuò a scrutare nella notte, sperando di vedere Mercer che la stava guardando, ma lui se n’era andato.

Mentre il gruppo saliva a bordo dei gommoni, un’altra figura li osservava protetta dall’oscurità. Mentre Aggie saliva a bordo, sospesa tra il molo e la barca, guardò il suo corpo atletico, stretto nei jeans, e si strofinò morbosamente i genitali.

Aveva il culetto di un ragazzino, pensò Abu Alam. Toccò il bernoccolo che gli aveva lasciato la bottiglia. Non poteva vendicarsi subito dell’uomo che lo aveva colpito. Kerikov stava aspettando un resoconto sulle attività della PEAL in città, ma aveva visto bene la faccia di quell’uomo, e non appena lo avesse tolto di mezzo, niente gli avrebbe impedito di scoprire se quel sedere era sodo come sembrava.